violenza psicologica

La violenza emotiva nelle relazioni

 

Quando si parla di violenza di genere si fa riferimento a molte manifestazioni di prevaricazione e violenza che vanno dalla forma psicologica a quella fisica, passando per quella economica e sessuale, per lo stalking e le molestie, fino all’omicidio.
La violenza di genere esiste ed è un fenomeno molto radicato nella nostra società, non solo perché ha delle origini molto antiche, ma anche e soprattutto perché si nutre in continuazione di stereotipi di genere sessisti.[1]
Riconoscere le forme di violenza è tutt’altro che semplice, tanto quando la vittima sia a noi estranea, tanto quando ne si sia bersaglio diretto, e questo accade per via della sua enorme diffusione: paradossalmente, succede così tanto spesso, nella vita di una qualunque donna, di non sentirsi al sicuro o rispettata o adeguata, che questo smette a poco a poco di sembrare insolito o sbagliato.

E la difficoltà aumenta quando la violenza è emotiva e si manifesta nell’ambito delle relazioni di coppia, eterosessuali od omosessuali che siano, senza però mai assumere la forma di pugni o calci.

É questa una forma di violenza subdola e strisciante, che si fatica ad identificare, mentre ben noti sono i suoi effetti: il senso di colpa martellante, la sensazione di non essere mai adeguata, il bisogno di dimostrare al partner di essere degna d’amore, la tendenza ad accondiscendere ad ogni sua richiesta o aspettativa, la rinuncia ad esprimere bisogni personali o parti di sé per paura di perdere il partner.

Spesso questi vissuti accompagnano da così tanto tempo la donna, che ella non ci fa quasi più caso. Il dolore diventa un rumore di fondo, c’è ma non sembra intervenire o avere peso nelle sue scelte, perché prevale l’idea che l’amore, la considerazione, il rispetto dell’altro vada guadagnato o estorto. E diventa attentissima, la donna in questa difficile situazione, a cogliere le aspettative che il partner ha su di lei, su come dovrebbe essere o funzionare, prima ancora che le esprima, nel tentativo di farle proprie, di assomigliare a quello che il partner vorrebbe, per sentirsi degna d’amore, finalmente.

Ma questa è la più grande trappola del mondo.
Perché se la donna in questione non si sente amata, questo diventa motivo per persistere nella ricerca di un modo per farsi amare dal partner (“se solo riuscissi ad essere più calma, o meno aggressiva, più casta o più porca, se frequentassi meno i miei amici o se gli lasciassi più spazio, se fossi meno gelosa, se accettassi di non usare il preservativo, se gliela dessi vinta”, ecc.): il fallimento nell’impresa giustifica la perseveranza della ricerca.
Dall’altro lato, se la considerazione del partner arriva solo quando la donna lo accontenta e cambia pur di non perderlo, la sensazione di essere amata non è mai soddisfacente e ha sempre un retrogusto amaro: in fondo, dentro di sé, la donna sente che l’amore non è autentico, perchè non è diretto a lei per come è ma a quello che cerca di diventare o sembrare.
In altre parole, qualunque sia il punto di partenza, il circolo vizioso si attiva e incastra la donna in una battaglia in cui si perde anche se (apparentemente) si vince.

Una battaglia in cui si perde amor proprio, in cui si perdono parti di sé, si accantonano sogni, si mettono in pausa desideri, non si guarda mai a se stesse con la curiosità di conoscersi e comprendersi; c’è posto solo per uno sguardo severo ed indagatore, sempre crudele, che la donna rivolge a se stessa, alla ricerca di ciò che dovrebbe cambiare per far funzionare meglio la relazione.
Una battaglia in cui la sofferenza emotiva diventa disturbante più perché minaccia il rapporto col partner, che perché fa stare male.

In queste situazioni, la donna perde il contatto con sé, con il suo vero sé, al punto da non ritrovarsi più. Altre volte un vero rapporto con sé non lo ha mai costruito e ha ben presto imparato a guardarsi solo con gli occhi degli altri (nel tentativo di corrispondere le loro aspettative).

Se ti sei riconosciuta almeno un po’ in questa descrizione, ti starai chiedendo se è possibile venirne fuori e come, cosa si può fare.
Bene, forse ti sembrerà retorico o assurdo, ma lo strumento più importante di tutti ce l’hai già dentro: è la tua sofferenza emotiva.
La risorsa più preziosa che hai è questa, perché è ciò che di più autentico e indomabile esista in te. La tua sofferenza emotiva è la manifestazione di quella parte di te che non si piega a nessuno e niente, esiste e si fa sentire. Il dolore, il senso di colpa, la paura, tutte le forme in cui la tua sofferenza emotiva si manifesta sono il ponte che ti connette con chi sei davvero, con i tuoi bisogni profondi.
É un ponte traballante, certamente ti fa paura percorrerlo, ma è l’unica strada utile e possibile per arrivare ad essere più vicina a te, perché tu possa conoscere dal nuovo chi sei e scoprire che sei degna d’amore: il tuo, prima di quello di chiunque altro.


NOTE

[1] Per approfondire l’argomento, consiglio di leggere il libriccino di Ruspini E., 2004, Le identità di genere, Carocci ed.

[2] Naturalmente la violenza emotiva non è diretta solo alle donne, ma è più frequente che le vittime siano femminili. Ciò in quanto le donne sono socializzate, fin da piccolissime, a stereotipi di genere che le vogliono maggiormente passive, docili e portate all’accudimento, e queste attese culturali diventano modelli di comportamento quasi automatici ed inconsapevoli.

 

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